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Addio pensionamento inattivo

MILANO – Gli anni della pensione solitamente spalancano le porte a una sorta di seconda giovinezza, caratterizzata da svago e tempo libero in abbondanza. In un certo senso, il pensionamento inattivo rappresenta forse una delle grandi innovazioni socioeconomiche del secolo scorso, ma si tratta di un lusso che sempre meno paesi possono permettersi, in particolare in Europa. Probabilmente ai pensionati che si stanno godendo il loro ozio non farà piacere sentirselo dire, ma i governi dovrebbero condizionare l’erogazione dei benefici pensionistici all’espletamento di lavori socialmente utili.

Promesse previdenziali irrealistiche ed eccessivamente generose destabilizzano le finanze pubbliche, compromettono il contratto intergenerazionale e alimentano il sostegno ai movimenti populisti di estrema destra (particolarmente inclini a questo genere di promesse). Nell’Unione Europea, le garanzie implicite legate a debiti previdenziali futuri e non ancora coperti da entrate certe variano dal 70% al 60% del PIL. In Italia, alcuni pensionati percepiscono pensioni 2-3 volte più elevate dei contributi versati. E in tutta l'Unione Europea, il reddito medio delle persone di età superiore ai 63 anni è quasi pari al reddito medio percepito dai lavoratori attivi.

Inoltre, a seguito di dissennate politiche di pre-pensionamento adottate nei decenni passati circa 30 milioni di pensionati in tutta l'UE hanno meno di 65 anni: questo significa che circa il 25% dei pensionati europei è difficilmente classificabile come “anziano”. A ciò si aggiunge che anche l'età pensionabile ufficiale non tiene davvero conto delle aspettative di vita odierne. Quando il cancelliere tedesco Otto von Bismarck introdusse il primo sistema pensionistico pubblico al mondo nel 1870, l'età pensionabile era di 70 anni e l'aspettativa media di vita era di 45 anni. Oggi, il cittadino europeo medio va in pensione a 65 anni e vive fino ad almeno 80 anni.

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