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Rischi emergenti per economie emergenti

EDIMBURGO – All’improvviso, sembra che le economie dei mercati emergenti abbiano trovato un po’ di sollievo. I flussi di capitali verso questi paesi si erano interrotti nella seconda parte dello scorso anno, dal momento che la Federal Reserve americana aveva aumentato i tassi ufficiali per cinque trimestri consecutivi e ridotto drasticamente il proprio bilancio. Nel gennaio scorso, però, la Fed ha annunciato una pausa, che ora sembra verrà prolungata: i “dot plot” dei membri del FOMC (Federal Open Market Committee) non prevedono, al momento, rialzi dei tassi per tutto il resto dell’anno. Inoltre, la Fed ha segnalato che il “quantitative tightening”, ovvero il mancato reinvestimento in nuovi asset di parte dei titoli di stato e dei titoli garantiti da ipoteca (MBS), continuerà soltanto fino a settembre.    

Ciò vuol dire un po’ di tregua per le economie emergenti, che si sono risollevate grazie alla ripresa degli afflussi di capitale. Un replay della seconda metà dell’anno passato, e tanto meno del “taper tantrum” del 2013, ora sembra improbabile.  

In più, c’è la ripartenza dell’economia cinese. Altri mercati emergenti, collegati con la Cina attraverso filiere globali ed esportazioni di materie prime, sono fortemente influenzati dalla sua crescita. Pertanto, avevano ottime ragioni per preoccuparsi quando a febbraio l’attività manifatturiera cinese ha registrato una flessione per il terzo mese consecutivo. Il volume dell’export cinese è calato. Le vendite di automobili sono scese. Fino a due settimane fa, lo scenario era alquanto tetro. 

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