mazzucato51_FABRICE COFFRINIAFP via Getty Images_mckinsey FABRICE COFFRINI/AFP via Getty Images

I consulenti e la crisi del capitalismo

LONDRA – Negli ultimi anni, il nome di McKinsey & Company è diventato piuttosto familiare, ma non per buoni motivi. Quale una delle “Big Three”, le tre più prestigiose società del settore della consulenza aziendale, il suo lavoro per importanti multinazionali e governi è stato sempre più associato a scandali e intrighi in tutto il mondo.   

Negli Stati Uniti, ad esempio, McKinsey ha accettato di pagare quasi 600 milioni di dollari per il suo ruolo nella terribile epidemia di dipendenze da farmaci a base di oppioidi, in seguito all’accusa di aver fornito a Purdue Pharma indicazioni su come “accelerare” le vendite di OxyContin. In Australia, la consulenza fornita in merito alla strategia nazionale del governo precedente per il raggiungimento delle zero emissioni nette è stata criticata quale palese tentativo di proteggere l’industria dei combustibili fossili del paese. E a Puerto Rico, un’indagine del New York Times ha accertato che MIO Partners, il fondo d’investimento di McKinsey, godeva di una posizione strategica per trarre profitto dallo stesso debito che i suoi consulenti stavano aiutando a ristrutturare.         

Questa lista potrebbe continuare a oltranza. Ma come dimostriamo nel nostro nuovo libro,  The Big Con: How the Consulting Industry Weakens Our Businesses, Infantilizes Our Governments, and Warps our Economies (Big Con: Come il settore della consulenza indebolisce le imprese, deresponsabilizza i governi e distorce le economie) scandali di questo tipo rappresentano solo la punta dell’iceberg. Mentre qualche mela marcia può esserci ovunque, il vero problema riguarda il modello di business del settore.   

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