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NEW DELHI – L’anno 2020 sarà ricordato non solo per lo shock COVID-19 e la fine della presidenza di Donald Trump negli Stati Uniti, ma anche come il momento della resa dei conti per la Cina. Con i colpi inferti dalla pandemia alla sua reputazione internazionale, e con l’intensificarsi dell’opposizione alla sue pretese territoriali, la capacità della Cina di perseguire le proprie ambizioni geopolitiche sta diminuendo rapidamente. Da nessuna parte questo è più evidente che nelle relazioni con l’India.
Il cambiamento è iniziato a maggio. Quando il brutale inverno himalayano si è allontanato, un’India sotto shock ha scoperto che le forze armate cinesi avevano occupato centinaia di chilometri quadrati di confine nella regione più settentrionale del Ladakh. Le forze degli invasori, sostenute da migliaia di truppe nelle retrovie, si erano impadronite delle cime delle montagne e di altri punti di vantaggio strategici, e l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) aveva stabilito basi avanzate, bloccando l’accesso dell’India alle aree della frontiera contesa che erano state sotto la sua esclusiva giurisdizione.
È stato un cinico tentativo di sfruttare non solo il caos e le difficoltà causate dalla più famigerata esportazione cinese a livello globale, il COVID-19, ma anche la politica di pacificazione di lunga data del primo ministro indiano Narendra Modi. Nei sei anni precedenti, Modi aveva incontrato 18 volte il presidente cinese Xi Jinping, nella speranza di favorire relazioni più amichevoli (ed indebolire l’asse Cina-Pakistan).
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