a12a120346f86f680e571b05_pa3484c.jpg Paul Lachine

Euro, addio?

MONACO – «Non è l’euro ad essere in pericolo, bensì le finanze pubbliche dei singoli paesi europei». È una frase che si sente spesso di questi tempi, ma che non corrisponde a verità. L’euro è a rischio, perché negli ultimi anni i paesi in crisi hanno sfruttato al massimo le macchine per stampare moneta europea.

Il 90% del debito di rifinanziamento che le banche commerciali dei paesi GIPS (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) possiedono con le rispettive banche centrali nazionali è servito per acquistare beni e asset dagli altri paesi dell’Eurozona. I due terzi di tutti i prestiti di rifinanziamento all’interno dell’Eurozona sono stati concessi ai paesi GIPS, anche se tali paesi rappresentano solo il 18% del Pil europeo. In effetti, l’88% dei deficit delle partite correnti detenuti da tali paesi negli ultimi tre anni è stato finanziato grazie all’estensione del credito messa in atto dall’Eurosistema.

Alla fine del 2010 i prestiti della Bce, erogati principalmente dalla Bundesbank, ammontavano a 340 miliardi di euro. Questi numeri includono il credito Bce che negli ultimi tre anni ha finanziato le fughe di capitale dall’Irlanda per un totale di 130 miliardi di euro. Il programma di salvataggio della Bce ha consentito ai cittadini dei paesi periferici di continuare a vivere al di sopra delle proprie possibilità, e ai ricchi possessori di asset di trarre profitti altrove.

Presto non sarà più possibile continuare su tale linea politica, dal momento che i soldi delle banche centrali che fluiscono dai paesi GIPS ai paesi core dell’Eurozona sono il risultato dell’“effetto spiazzamento” sui soldi creati con operazioni di rifinanziamento. Se la situazione continuerà per altri due anni, come è accaduto negli ultimi tre, lo stock dei prestiti di rifinanziamento in Germania svanirà del tutto.

In effetti, la Deutsche Bank ha già smesso di prendere parte alle operazioni di rifinanziamento. Se le banche tedesche si ritireranno dall’attività di rifinanziamento, la Banca centrale europea perderà il controllo diretto sull’economia tedesca che aveva grazie alla sua politica sui tassi di interesse. Il principale tasso di rifinanziamento sarebbe a quel punto solo il tasso a cui i paesi periferici dell’Ue traggono denaro della Bce per gli acquisti nel cuore dell’Europa, risultando alla fine la fonte di tutto il denaro in circolazione nell’area euro.

Gli enormi deficit delle partite correnti dei GIPS – e in particolare il massiccio esodo di capitali dall’Irlanda – non sarebbero stati possibili senza i finanziamenti della Bce. Senza il denaro extra creato dalle banche centrali dei GIPS in eccesso rispetto ai requisiti per la circolazione interna previsti dai rispettivi paesi, i deficit commerciali non avrebbero potuto essere sostenuti, e le banche commerciali dei GIPS non sarebbero state in grado di sostenere i prezzi degli asset (rappresentati in gran parte dai bond governativi).

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Lo scorso anno, quando la Bce aveva esaurito gli strumenti atti a salvaguardare le banche in difficoltà dell’Europa da una possibile crisi finanziaria, sono stati concordati dei finanziamenti, e a partire dal 2013 saranno parte integrante del meccanismo europeo di stabilità (Esm). Tutto ciò potrebbe ridurre un po’ la pressione, in realtà si sposterebbe solamente il problema dal fondo di salvataggio della Bce alla comunità degli stati. Il meccanismo Esm è la strada giusta per mettere in ginocchio l’Europa, perché più a lungo saranno erogati i prestiti di salvataggio, più a lungo persisteranno i deficit delle partite correnti dei GIPS, e oltremodo cresceranno i loro debiti esterni. Alla fine, questi debiti diverranno insostenibili.

L’unica eccezione è l’Irlanda, che non sta soffrendo per la mancanza di competitività ma per la fuga di capitali. L’Irlanda è l’unico paese che ha abbassato prezzi e salari, e il cui deficit delle partite correnti sta per diventare surplus. Per contro, il deficit esterno della Spagna si attesta tuttora al di sopra del 4% del Pil, mentre Portogallo e Grecia hanno recentemente registrato dati astronomici attorno al 10%.

Ciò che sta tentando di fare l’Europa in Portogallo e Grecia evoca gli inutili sforzi delle banche centrali fatti negli ultimi decenni per tenere i tassi di interesse lontani dal livello di equilibro previsto dal mercato. Alcune banche centrali, come la Banca d’Inghilterra nella sua vana lotta contro George Soros nel 1992, sono finite nei guai; quando divenne chiaro quanto denaro fosse necessario per tenere testa al mercato, questa linea di condotta fu abbandonata.

A parte la Cina, le banche centrali non intervengono più per proteggere le proprie valute. Anche l’Europa potrebbe farsi male se dovesse continuare a sostenere artificialmente i prezzi degli asset nella periferia. Le somme richieste a tale scopo potrebbero alla fine ammontare a trilioni, secondo una stima di Citibank. Ciò manderebbe in rovina l’Europa.

A prescindere dalla ristrutturazione finanziaria, che resta di vitale importanza, Grecia e Portogallo devono attuare dei tagli per guadagnare competitività. Secondo le stime, la Grecia dovrebbe ridurre prezzi e salari del 20-30%. Le cose non saranno diverse in Portogallo.

Se questi paesi non riceveranno il consenso politico di cui necessitano per portare a termine queste manovre, dovranno prendere in considerazione, nel proprio interesse, di lasciare temporaneamente l’Eurozona per far deprezzare le proprie valute. Il sistema bancario non potrebbe sopravvivere a tale situazione senza aiuti, ed è per questo che le attività di salvataggio dell’Ue dovrebbero essere di conseguenza reindirizzate.

Le economie reali di questi paesi trarrebbero comunque beneficio da un congedo dall’Eurozona. La svalutazione all’interno dell’Eurozona sottoforma di deflazione, invece, spingerebbe ingenti parti di economia reale in un vortice di debito eccessivo, dal momento che si abbasserebbe solo il valore degli asset e non quello dei debiti bancari.

L’agenzia indipendente e transitoria per la privatizzazione, proposta da Jean-Claude Juncker per il pagamento del debito greco, non è una buona idea. Innanzitutto, servirebbe al massimo a risolvere il problema debitorio ma non ad accrescere la competitività. In secondo luogo, l’esperienza vissuta dalla Germania con questo tipo di agenzia indica che è impossibile liquidare contemporaneamente ingenti parti di un sistema economico. Le banche europee guadagnerebbero un sacco senza ridurre in modo significativo il debito greco.

È ora di guardare in faccia la realtà: i paesi periferici dell’Europa devono ridurre il proprio Pil nominale per riguadagnare competitività. Resta solo una domanda: pagherà pegno anche l’euro?

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