CAMBRIDGE – Quando il partito turco per la giustizia e lo sviluppo (Akp) sfidò gli esperti e i sondaggisti riconquistando la maggioranza parlamentare nelle elezioni generali del paese il 1 novembre, i mercati finanziari ne furono allietati. Il giorno successivo, la borsa di Istanbul guadagnò oltre il 5% e la lira turca registrò un rialzo.
Poco importa quanto sia arduo trovare qualcuno nel mondo imprenditoriale o finanziario disposto a dire qualcosa di carino in questi giorni su Recep Tayyip Erdoğan o sull’Akp che ha guidato prima della sua ascesa alla presidenza nel 2014. Ma fate attenzione: sebbene si supponga che il presidente della Turchia sia sopra le parti, Erdoğan resta ben saldo al timone.
In effetti, è stata la strategia del divide et impera di Erdoğan – che alimenta il populismo religioso e il sentimento nazionalista e infiamma la tensione etnica con i curdi – a portare l’Akp alla vittoria. Probabilmente, questa era l’unica strategia che potesse funzionare. Dopo tutto, il suo regime ha allontanato i liberali con i suoi attacchi ai media; gli imprenditori con l’espropriazione delle aziende così da unirsi agli alleati di un tempo nel cosiddetto movimento Gülen; e l’Occidente con i toni di scontro e la posizione incoerente sullo Stato islamico.
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The prevailing narrative that frames Israel as a colonial power suppressing Palestinians’ struggle for statehood grossly oversimplifies a complicated conflict and inadvertently vindicates the region’s most oppressive regimes. Achieving a durable, lasting peace requires moving beyond such facile analogies.
rejects the facile moralism of those who view the ongoing war through the narrow lens of decolonization.
The far-right populist Geert Wilders’ election victory in the Netherlands reflects the same sentiment that powered Brexit and Donald Trump’s candidacy in 2016. But such outcomes could not happen without the cynicism displayed over the past few decades by traditional conservative parties.
shows what Geert Wilders has in common with other ultra-nationalist politicians, past and present.
CAMBRIDGE – Quando il partito turco per la giustizia e lo sviluppo (Akp) sfidò gli esperti e i sondaggisti riconquistando la maggioranza parlamentare nelle elezioni generali del paese il 1 novembre, i mercati finanziari ne furono allietati. Il giorno successivo, la borsa di Istanbul guadagnò oltre il 5% e la lira turca registrò un rialzo.
Poco importa quanto sia arduo trovare qualcuno nel mondo imprenditoriale o finanziario disposto a dire qualcosa di carino in questi giorni su Recep Tayyip Erdoğan o sull’Akp che ha guidato prima della sua ascesa alla presidenza nel 2014. Ma fate attenzione: sebbene si supponga che il presidente della Turchia sia sopra le parti, Erdoğan resta ben saldo al timone.
In effetti, è stata la strategia del divide et impera di Erdoğan – che alimenta il populismo religioso e il sentimento nazionalista e infiamma la tensione etnica con i curdi – a portare l’Akp alla vittoria. Probabilmente, questa era l’unica strategia che potesse funzionare. Dopo tutto, il suo regime ha allontanato i liberali con i suoi attacchi ai media; gli imprenditori con l’espropriazione delle aziende così da unirsi agli alleati di un tempo nel cosiddetto movimento Gülen; e l’Occidente con i toni di scontro e la posizione incoerente sullo Stato islamico.
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