Hand drug pharmaceutical health Colin Campbell/Flickr

Riacquistare azioni o pagare dividendi?

LONDRA – Quando il Primo ministro britannico David Cameron mi ha chiesto di condurre uno studio sul problema della resistenza antimicrobica, l’ultima cosa che mi sarei aspettato era che accettare l’incarico mi avrebbe portato a interrogarmi su uno degli strumenti più usati nella gestione finanziaria delle aziende: il riacquisto di azioni.

Il problema della resistenza antimicrobica è serio. Se non viene affrontata, entro il 2050 rischia di diventare responsabile della morte di circa dieci milioni di persone all’anno, più di quante ne muoiono attualmente di cancro, oltre a danni economici per una cifra impressionante come 1.000 miliardi di dollari. Fortunatamente, tuttavia, possiamo fare molto per attenuare la minaccia – purché ci siano adeguate risorse a disposizione.

Un’importante via da perseguire è lo sviluppo di nuovi medicinali. In un articolo di prossima uscita, la Review on Antimicrobial Resistance stima che lanciare nuovi antimicrobici sul mercato e migliorare la loro amministrazione costerà circa 25 miliardi di dollari– una cifra significativa, ma che perde valore se rapportata ai costi sostenuti dalla società se il problema non viene affrontato. Si tratta inoltre dell’importo che, indicativamente, due delle maggiori compagnie farmaceutiche del mondo spenderanno quest’anno per riacquistare le loro azioni.

Anche se non sono ancora state fornite delle indicazioni relative al finanziamento dello sviluppo di nuovi medicinali, mi sembra evidente che l’industria farmaceutica dispone delle risorse necessarie per poter contribuire. Un’argomentazione comune tra le società farmaceutiche riguarda la garanzia di una ricompensa nel caso in cui dovessero investire nello sviluppo di medicinali che difficilmente forniscono lo stesso tipo di guadagni che altri investimenti garantiscono. L’unico modo sicuro per garantire lo sviluppo dei medicinali, affermano, è quello di consentire che i prezzi salgano fino a quando la domanda non incontra l’offerta.

E tuttavia c’è una buona ragione per cui l’industria farmaceutica può e deve giocare un ruolo primario nel finanziare qualcosa come un comune “Fondo di Innovazione” volto a fornire finanziamenti nella prime fasi della ricerca per risolvere il problema della resistenza antimicrobica. E questa è una motivazione nella quale mi sono imbattuto durante il mio periodo di lavoro a Goldman Sachs: interesse egoistico illuminato.

Sei anni dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale, si dà ancora la colpa al settore bancario per la catastrofe. E, di conseguenza, le banche sono colpite da restrizioni regolamentari che limitano alcuni aspetti della loro attività. Ho il sospetto che se il settore avesse mostrato una maggiore capacità di leadership su alcune questioni – ad esempio sugli stipendi elevati dei dirigenti – si sarebbe trovato in una situazione più favorevole oggi.

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La stessa cosa accade per l’industria farmaceutica. Il riacquisto di azioni può a volte essere legittimo, ma in altri casi non sembra giustificato – soprattutto se considerato dal punto di vista dell’interesse egoistico illuminato. A dicembre, il colosso farmaceutico Merck ha speso 8,4 miliardi di dollari per acquistare Cubist Pharmaceuticals, un produttore di medicinali del Massachusetts specializzato nel combattere lo Stafilococco aureo resistente alla Meticillina, un batterio che è diventato resistente a molti tipi di antibiotici.

All’inizio di marzo – meno di tre mesi dopo l’acquisizione – Merck ha annunciato che avrebbe chiuso la divisione di ricerca di Cubist, tagliando circa 120 posti di lavoro e vanificando gli sforzi per aggiungere nuovi medicinali al portafoglio prodotti. Tre settimane dopo, Merck ha reso noto che avrebbe speso ulteriori 10 miliardi di dollari per riacquistare alcune delle sue azioni. È difficile per un osservatore esterno riuscire a non vedere una connessione tra le due decisioni.

Naturalmente, i programmi di buyback ambigui non appartengono solo all’industria farmaceutica. Apple è un altro buon esempio. Le vendite della società nell’ultimo trimestre mostrano come il colosso è diventato qualcosa di più di una azienda tecnologica; adesso è un brand rivolto a consumatori cinesi benestanti. Entro un anno, l’azienda di Cupertino venderà probabilmente più prodotti in Cina che non negli Stati Uniti.

E tuttavia, l’importo del programma di buyback di Apple attualmente in corso resta ancora più impressionante della conferma dell’importanza crescente delle economie del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Nel mese di aprile, la società ha annunciato di aver autorizzato ulteriori 50 miliardi di dollari per il riacquisto delle azioni, portando il totale a 140 miliardi di dollari.

In un momento nel quale il settore della tecnologia è sotto controllo nei Paesi sviluppati, dal momento che i governi devono fare i conti con i deficit di bilancio e l’aumento del debito, mi sembra una decisione discutibile. La capacità delle società di ridurre il loro onere fiscale globale, aumentando al contempo il loro utile per azione tramite i buyback– in alcuni casi finanziati dall’emissione di bond – non mi sembra una tendenza stabile.

Quando le società sono veramente incapaci di identificare aree di ricerca e investimento che contribuirebbero alla crescita del business (e di impiegati e clienti), è preferibile che restituiscano i risparmi agli azionisti sotto forma di dividendi più alti piuttosto che autorizzare programmi di buyback. O, ancora meglio, in un mondo caratterizzato da un mucchio di problemi – dal cambiamento climatico alla resistenza antimicrobica – i leader del settore dovrebbero cominciare a domandarsi in che modo possono dare il loro contributo per evitare le crisi del futuro.

Traduzione di Rosa Marseglia

https://prosyn.org/8s7MpZVit