e434ef0346f86f380ea1821e_mw117c.jpg Matt Wuerker

La via per la crisi fiscale

WASHINGTON – Tra gli addetti ai lavori a Washington, sia repubblicani che democratici, è diventato di moda alzare le braccia e rimarcare la grave crisi economica che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare soprattutto a causa dell’aumento dei costi della sanità che comportano un aumento del peso fiscale di enti come Medicare e Medicaid. Poi però le stesse persone sottolineano, sorridendo, che investitori di varie parti del mondo continuano comunque a concedere prestiti consistenti agli Stati Uniti in modo da poter mantenere bassi i tassi di interesse e permettere al paese di gestire cospicui deficit nel futuro immediato.

Ma questa prospettiva è sbagliata. Implica, infatti, che gli Stati Uniti possono tirare avanti finché il dollaro rimane la valuta di riserva predominante a livello mondiale e finché l’America offre il porto più sicuro ai proprietari di capitale volubili. In base a questa logica, entro il 2015 i politici non avranno fatto niente per aumentare le tasse e molto poco per ridurre le spese, pertanto gli Stati Uniti continueranno a registrare un deficit pari a circa 1 trilione di dollari finanziato dalla vendita dei bond statali agli stranieri. Entro il 2050 ci sarà senza dubbio un serio problema fiscale, ma, d’altra parte, c’è ancora tempo per ignorare questi aspetti.

Questa logica, sostenuta dalla chiara intenzione della Riserva Federale di mantenere bassi tutti i tassi di interesse, suggerisce che i tassi di riferimento statunitensi, come le obbligazioni del tesoro con scadenza decennale, rimarranno al di sotto del 4% (e forse persino del 3,5%) a breve termine. Questa settimana gli interessi del debito pubblico erano pari al 3,2%, ovvero molto bassi rispetto agli standard storici. Se verrà confermata la teoria del “Washington Consensus”, nel momento in cui i tassi di riferimento inizieranno a salire lo faranno in tempi molto rallentati.

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