stiglitz311_Win McNamee_Getty Images Win McNamee/Getty Images

La via del fascismo

NEW YORK – L’economia è stata definita la scienza triste, e il 2023 confermerà tale appellativo. Siamo alla mercé di due catastrofi fuori dal nostro controllo. La prima è rappresentata dalla pandemia di Covid-19, che continua a minacciarci con nuove varianti più letali, contagiose e resistenti ai vaccini. La Cina ha gestito particolarmente male questa pandemia, soprattutto perché non ha immunizzato i suoi cittadini con vaccini a mRNA (prodotti in Occidente), più efficaci.     

La seconda catastrofe è la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Non c’è una fine del conflitto all’orizzonte, anzi è possibile che esso degeneri ulteriormente o produca effetti di ricaduta ancora più gravi. In entrambi i casi, è praticamente sicuro che vi saranno altre perturbazioni dei prezzi dell’energia e alimentari. E, come se questi problemi non fossero abbastanza molesti, vi sono ampi motivi per temere che la risposta della politica non farà che peggiore una situazione già pessima.  

L’aspetto più importante è che la Federal Reserve americana potrebbe aumentare i tassi di interesse in modo eccessivo e troppo rapido. L’inflazione odierna è largamente determinata dalle difficoltà di approvvigionamento, alcune delle quali però sono già in via di risoluzione. Un aumento dei tassi d’interesse, pertanto, può risultare controproducente. Non servirebbe a produrre più cibo, petrolio o gas, ma renderebbe più difficoltoso mobilitare gli investimenti utili a fronteggiare la carenza di scorte.   

Una stretta monetaria rischia anch’essa di provocare un rallentamento a livello mondiale. A dire il vero, questo è un risvolto molto atteso, e alcuni analisti che si sono convinti che combattere l’inflazione richieda una sofferenza economica quasi tifano per la recessione. A detta loro, quanto più veloce e profonda sarà, tanto meglio. Non sembra che abbiano considerato che la cura può essere peggiore della malattia.   

Il terremoto causato dalla stretta della Fed potrebbero sentirsi in tutto il mondo già con l’arrivo dell’inverno. Gli Stati Uniti stanno portando avanti una politica cosiddetta “del rubamazzo” in versione ventunesimo secolo. Un dollaro più forte mitiga sì l’inflazione negli Usa, ma lo fa indebolendo le altre valute e aumentando l’inflazione altrove. Per smorzare questi effetti del cambio, paesi con economie deboli si vedono anch’essi costretti ad aumentare i tassi di interesse, ma in questo modo non fanno che indebolirle ulteriormente. Tassi di interesse più elevati, valute deprezzate e un rallentamento a livello mondiale hanno già spinto decine di paesi sull’orlo del default.        

L’aumento dei tassi di interesse e dei prezzi dell’energia spingerà anche molte imprese verso il fallimento. Esempi eclatanti di questo ne abbiamo già visti, uno fra tutti quello della società Uniper, colosso tedesco dell’energia, ora nazionalizzata. E anche qualora le aziende non presentino un’istanza di protezione dal fallimento, imprese e famiglie subiscono lo stress di condizioni finanziarie e creditizie più rigide. Non a caso, quattordici anni di tassi di interesse ai minimi storici hanno lasciato molti paesi, imprese e famiglie oberati di debiti.     

SPRING SALE: Save 40% on all new Digital or Digital Plus subscriptions
PS_Sales_Spring_1333x1000_V1

SPRING SALE: Save 40% on all new Digital or Digital Plus subscriptions

Subscribe now to gain greater access to Project Syndicate – including every commentary and our entire On Point suite of subscriber-exclusive content – starting at just $49.99.

Subscribe Now

Gli enormi cambiamenti dell’anno scorso sul fronte dei tassi di interesse e dei tassi di cambio implicano una molteplicità di rischi nascosti – come ha dimostrato il crollo sfiorato dei fondi pensione britannici tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. I disallineamenti di scadenze e tassi di cambio sono un tratto distintivo delle economie poco regolamentate e sono diventati ancora più diffusi con la crescita di strumenti derivati non trasparenti.  

Questi travagli economici, ovviamente, saranno percepiti dai paesi vulnerabili in modo più accentuato, fornendo un terreno ancora più fertile a demagoghi populisti per piantarvi i semi della rabbia e del malcontento. Il mondo ha tirato un sospiro di sollievo quando Luiz Inácio Lula da Silva ha battuto Jair Bolsonaro alle presidenziali del Brasile. Non dimentichiamo, però, che Bolsonaro ha ottenuto quasi il 50% dei voti e ha ancora la maggioranza al congresso.   

In ogni dimensione, compresa quella economica, la più grave minaccia al benessere oggi è politica. Oltre la metà della popolazione mondiale vive sotto regimi autoritari. Persino negli Stati Uniti, uno dei due maggiori partiti si è trasformato in un culto della personalità che sempre più rifiuta la democrazia e continua a mentire sui risultati delle elezioni del 2020. Il suo modus operandi consiste nell’attaccare la stampa, la scienza e le istituzioni accademiche, pompando nella cultura quanta più disinformazione possibile.       

Lo scopo, a quanto pare, è quello di annullare gran parte dei progressi realizzati negli ultimi 250 anni. L’ottimismo che si respirava alla fine della Guerra Fredda, quando Francis Fukuyama poté annunciare “la fine della storia”, intendendo con questo la scomparsa di qualunque minaccia al modello liberaldemocratico, è ormai scomparso.  

Certo, esistono ancora dei buoni programmi in grado di scongiurare una discesa nell’atavismo e nella disperazione. Ma in molti paesi, la polarizzazione e l’impasse della politica li hanno resi irrealizzabili. Con sistemi politici meglio funzionanti, avremmo potuto agire molto più in fretta per aumentare la produzione e le scorte, mitigando le pressioni inflazionistiche che oggi affrontano le nostre economie. Dopo cinquant’anni a dire agli agricoltori di non produrre il più possibile, sia l’Europa che gli Stati Uniti avrebbero potuto invece dire loro di produrre di più. Gli Usa avrebbero potuto offrire più servizi per l’infanzia – consentendo a un maggior numero di donne di accedere al mercato del lavoro, riducendo così le presunte carenze di manodopera – mentre l’Europa avrebbe potuto intervenire prima per riformare i suoi mercati dell’energia e prevenire un aumento dei prezzi dell’elettricità.            

I paesi del mondo avrebbero potuto applicare un’imposta sugli utili imprevisti in modo da incoraggiare gli investimenti e mitigare i prezzi, usando le entrate per proteggere le fasce più vulnerabili e investire soldi pubblici nella resilienza dell’economia. Come comunità internazionale, avremmo potuto rinunciare alla proprietà intellettuale in ambito Covid-19, riducendo così le dimensioni dell’apartheid vaccinale e la rabbia che alimenta, e diminuendo il rischio di nuove e pericolose mutazioni.   

Tutto sommato, un ottimista direbbe che il nostro bicchiere è pieno per circa un ottavo. Un ristretto numero di paesi ha fatto passi avanti su questi obiettivi, e di questo dovremmo essere grati. Ma quasi ottant’anni dopo che Friedrich von Hayek scrisse La via della schiavitù, continuiamo a vivere con il retaggio di quelle politiche estremiste che lui e Milton Friedman hanno contribuito a diffondere. Tali idee ci hanno portato su una rotta davvero pericolosa: la via di un fascismo in versione ventunesimo secolo.   

https://prosyn.org/vwVfzKDit