LONDRA – Alla soglia del nuovo anno, si sta riaccendendo tra gli economisti un dibattito decennale: l’austerità aiuta o danneggia la crescita economica? In generale, coloro che prendono parte al dibattito si dividono in due categorie: i conservatori che chiedono una spesa pubblica limitata, e quindi uno stato più piccolo; ed i progressisti che sostengono maggiori investimenti in beni e servizi pubblici come infrastrutture, istruzione e assistenza sanitaria.
Certamente, la realtà è più complessa di quanto implichi questa semplice demarcazione, e persino istituzioni ortodosse come il Fondo Monetario Internazionale sono giunte alla conclusione che l’austerità può essere controproducente. Come sosteneva John Maynard Keynes negli anni ‘30, se i governi tagliassero le spese durante una crisi, una recessione di breve durata potrebbe diventare una vera e propria depressione. Questo è esattamente ciò che è successo in Europa durante il periodo di austerità seguito alla crisi finanziaria del 2008.
E tuttavia l’agenda progressista non può riguardare soltanto la spesa pubblica. Anche Keynes ha invitato i responsabili politici a pensare in grande. “La cosa importante per il governo è non fare cose che gli individui stanno già facendo”, scrisse nel suo libro classico del 1926, The End of Laissez Faire, “ma fare quelle cose che al momento non vengono assolutamente fatte”. In altre parole, i governi dovrebbero pensare in modo strategico a come gli investimenti possono contribuire a configurare le prospettive a lungo termine dei cittadini.
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Certamente, la realtà è più complessa di quanto implichi questa semplice demarcazione, e persino istituzioni ortodosse come il Fondo Monetario Internazionale sono giunte alla conclusione che l’austerità può essere controproducente. Come sosteneva John Maynard Keynes negli anni ‘30, se i governi tagliassero le spese durante una crisi, una recessione di breve durata potrebbe diventare una vera e propria depressione. Questo è esattamente ciò che è successo in Europa durante il periodo di austerità seguito alla crisi finanziaria del 2008.
E tuttavia l’agenda progressista non può riguardare soltanto la spesa pubblica. Anche Keynes ha invitato i responsabili politici a pensare in grande. “La cosa importante per il governo è non fare cose che gli individui stanno già facendo”, scrisse nel suo libro classico del 1926, The End of Laissez Faire, “ma fare quelle cose che al momento non vengono assolutamente fatte”. In altre parole, i governi dovrebbero pensare in modo strategico a come gli investimenti possono contribuire a configurare le prospettive a lungo termine dei cittadini.
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