United Nations-run school in the Al-Shatee refugee camp Mohammed Abed/Getty Images

L’urgenza di garantire un’educazione ai rifugiati

GINEVRA – La crisi mondiale dei rifugiati viene spesso misurata a colpi di numeri, ma per i giovani profughi che perdono l’opportunità di ricevere un’educazione, essa può anche essere valutata utilizzando un parametro irreversibile, ovvero il tempo che passa. Dei 17,2 milioni di persone che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è responsabile di proteggere, circa la metà hanno meno di 18 anni, il che significa che un’intera generazione di giovani, già defraudata della propria infanzia, rischia di non avere neanche un futuro.             

I bambini in età scolare rappresentano una quota significativa degli sfollati nel mondo. Alla fine del 2016, il numero stimato di rifugiati che si trovavano in una situazione di “sfollamento protratto”, avendo abbandonato il proprio paese da più di cinque anni senza “prospettive immediate” di ritorno, ammontava a 11,6 milioni. Di questi, 4,1 milioni erano profughi da almeno vent’anni, un tempo più lungo di quello che, in media, una persona trascorre a scuola.   

I motivi a favore dell’istruzione per i rifugiati sono evidenti. Durante l’infanzia si dovrebbe imparare a leggere, scrivere, fare di conto, informarsi, valutare, dibattere, calcolare, enfatizzare e fissare obiettivi. Tutte queste competenze sono particolarmente importanti per coloro che un giorno, rientrati a casa, saranno chiamati a contribuire alla ricostruzione del proprio paese. L’istruzione, inoltre, offre ai piccoli profughi un’oasi di sicurezza e tranquillità in mezzo al trambusto dello sfollamento, e può contribuire a garantire lo sviluppo pacifico e sostenibile delle comunità che accolgono le famiglie sfollate.        

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