Damascus Syria Mohammed Eyad/ZumaPress

La soluzione del conflitto siriano nelle mani del Consiglio di Sicurezza

NEW YORK – Il sanguinoso conflitto in Siria non è solo uno dei più grandi disastri umanitari a livello mondiale, ma comporta anche uno dei più grandi rischi geopolitici. L’attuale approccio degli Stati Uniti, ovvero il doppio fronte contro lo Stato Islamico e contro il regime del Presidente Bashar al-Assad, è fallito miseramente. La soluzione alla crisi siriana, ed alla crisi dei rifugiati in Europa, deve necessariamente passare per il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Le radici della strategia statunitense in Siria si mescolano in un’unione strana (e priva di successo) di due fattori importanti della politica estera americana. Il primo elemento è l’apparato di sicurezza statunitense tra cui i militari, le agenzie di intelligence ed i loro devoti sostenitori al Congresso. L’altro fattore è invece legato alla comunità dei diritti umani. Questa strana unione è risultata già evidente negli ultimi conflitti americani in Medio Oriente ed in Africa, e purtroppo i risultati sono stati sempre devastanti.

L’apparato della sicurezza è gestito dai politici statunitensi che si affidano, fondamentalmente, alla forza militare e alle operazioni sotto copertura volte a far cadere i regimi ritenuti dannosi per gli interessi americani. Sin dalla caduta, sostenuta dagli americani, del governo iraniano democraticamente eletto di Mohammad Mossadegh nel 1953 e l’ “altro 11 settembre” (il colpo di stato militare sostenuto dagli USA contro il governo cileno di Salvador Allende democraticamente eletto) per arrivare all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia ed ora alla Siria, i cambi di regime sono a lungo stati il primo obiettivo della politica di sicurezza statunitense.

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