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La lunga guerra commerciale sino-americana

MILANO – Alcuni osservatori interpretano la guerra commerciale che il presidente americano Donald Trump ha lanciato nei confronti della Cina come una dura tattica negoziale, che punta a costringere i cinesi a conformarsi alle regole della World Trade Organization e alle norme occidentali di fare affari. Una volta che la Cina soddisferà almeno alcune delle richieste di Trump, in base a questa visione, sarà ripristinato un impegno economico reciprocamente benefico. Ma sono numerose le ragioni che mettono in dubbio uno scenario tanto benevole. La lunga guerra commerciale tra Cina e Usa è la reale manifestazione di un importante scontro tra sistemi.

L’impatto negativo della spirale ritorsiva dei dazi messi in atto dai due fronti – e soprattutto dell’incertezza che cagionano – è pienamente visibile. Per la Cina, gli effetti psicologici sono più ampi dell’impatto commerciale diretto. I titoli cinesi hanno perso il 30% dall’inizio del conflitto, e sono attese ulteriori flessioni. Poiché in Cina sono stati emessi a favore del settore fortemente indebitato delle imprese titoli di debito di tipo equity-backed, il calo dei corsi azionari ha scatenato richieste di garanzie e forzato la vendita di asset, spingendo ulteriormente al ribasso i valori azionari.

Per limitare lo sforamento negativo, i politici cinesi hanno parlato bene della forza dei mercati azionari, consolidando ed espandendo al contempo i canali di credito per il settore privato, soprattutto per le imprese di piccole e medie dimensioni in salute e meritevoli di credito, che restano svantaggiate rispetto alle controparti statali. Resta da vedere se il governo interverrà direttamente nei mercati azionari.

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