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Vulnerabilità in crescita nelle economie emergenti

MILANO – Poco prima che il crollo delle banca di investimento statunitense Lehman Brothers provocasse la crisi finanziaria che ha poi fagocitato l’economia mondiale, la Commissione per la crescita e lo sviluppo aveva pubblicato una valutazione delle strategie di crescita delle economie emergenti finalizzata a trarre delle lezioni da ricerche ed esperienze precedenti. Più di un decennio dopo, molte di queste lezioni, se non addirittura la maggior parte, sono rimaste disattese.

Nelle economie emergenti, una crescita sostenuta media o elevata del PIL è essenziale per far progredire lo sviluppo e aumentare i redditi. Ovviamente, le crisi comportano inevitabilmente delle importanti battute d’arresto con lunghi periodi di ripresa che riducono drasticamente la crescita dei redditi e della ricchezza. Ma dieci anni sono un lungo periodo e il divario tra quello che l’esperienza imporrebbe di fare alle economie emergenti e quello che di fatto è stato fatto continua a essere significativo.  

Se da un lato alcuni paesi hanno ottenuto una crescita sostenuta media o elevata, dall’altro lo hanno fatto sulla base di alti livelli di investimenti pubblici e privati finanziati principalmente dal risparmio interno. Per contro, mantenere un disavanzo elevato e costante delle partite correnti implica delle vulnerabilità e spesso comporta delle difficoltà nel caso in cui le condizioni finanziarie esterne cambino. I prestiti in valuta estera sono particolarmente rischiosi in quanto la svalutazione della valuta locale può comportare delle passività finanziarie. Pertanto le economie emergenti dovrebbero attivarsi per limitare i livelli del debito anche se i termini necessari di questa limitazione dipendono dalla crescita dato che degli aumenti importanti e resilienti del PIL tendono a ridurre i coefficienti di leva.

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