underinvestment Luca Bruno/Flickr

Un mondo di scarsi investimenti

MILANO – Settant’anni fa, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gran parte del mondo compresa l’Europa industrializzata, il Giappone ed altri paesi occupati nel corso della guerra, era lacerato, oppresso da un debito sovrano pesante e con le principali economie in rovina. In un contesto simile ci si sarebbe aspettato un lungo periodo di limitata cooperazione internazionale, crescita rallentata, un tasso elevato di disoccupazione e un periodo di grandi privazioni a causa della capacità ridotta dei paesi di finanziare i loro grandi bisogni di investimento. Ma in realtà non è andata così.

Per contro, i leader mondiali hanno adottato una prospettiva di lungo termine sapendo bene che le prospettive di riduzione del debito erano strettamente legate alla crescita economica nominale e che le prospettive di crescita economica (e anche una pacificazione duratura) dipendevano dalla ripresa mondiale. Hanno quindi usato (fino all’estremo) i loro bilanci a favore degli investimenti aprendosi al commercio internazionale e sostenendo in tal modo la ripresa della domanda. E’ stato quindi naturale per gli Stati Uniti, con un debito pubblico considerevole ma con poche perdite in termini di asset, assumere un ruolo di leadership in questo processo.

Ci sono due aspetti sorprendenti della ripresa economica del dopoguerra. Innanzitutto, i paesi non vedevano i loro debiti sovrani come un limite vincolante e sfruttavano quindi sia gli investimenti che il potenziale di crescita. In secondo luogo, gli stati collaboravano l’uno con l’altro su vari fronti, mentre i paesi con i bilanci più solidi sostenevano gli investimenti di altri paesi favorendo gli investimenti privati. La comparsa della guerra fredda potrebbe aver incoraggiato quest’approccio, ma il risultato finale è che i paesi non hanno optato per l’isolamento.

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