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Più forza al Pepp-bazooka

LONDRA – Il programma di acquisto di titoli di Stato per far fronte all’emergenza pandemia, chiamato Pepp (Pandemic Emergency Purchase Program) e messo in campo dalla Banca centrale europea è stato declamato al suo esordio a marzo come il “grande bazooka”, portando sollievo ai mercati obbligazionari dei cosiddetti paesi periferici dell’eurozona come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Ma la Bce deve rafforzare il programma per renderlo veramente efficace.

Gli acquisti del Pepp da parte della Bce sono diversi dai suoi normali acquisti di asset trasversali, che cercano di fornire uno stimolo monetario generale. Mentre tali operazioni si basano sulla quota di capitale (o “chiave capitale”) della Bce di ciascun paese, lo scopo del Pepp è quello di correggere un malfunzionamento del mercato concentrando gli acquisti di titoli nei paesi che si trovano maggiormente sotto pressione.

Il nuovo programma – di cui gli investitori si aspettano un ampliamento da parte della Bce – è riuscito ad abbattere gli spread dei tassi di interesse tra gli Stati membri principali e i paesi periferici dell’eurozona.  Ma gli spread rimangono elevati e gli investitori sono nervosi, soprattutto data la probabilità che la crisi del Covid-19 faccia lievitare il debito pubblico italiano al 150-160% del PIL nell’immediato futuro. Non c’è un modo morbido di attenuare lo shock.

Certo, la capacità del Pepp di indirizzare gli acquisti di asset, senza imporre condizioni politiche ai beneficiari, lo rende un’arma più potente rispetto al vero sistema di transazioni monetarie introdotto dall’allora presidente della BCE Mario Draghi al culmine della crisi dell’euro del 2012.

Ma da solo il Pepp non dissipa i problemi di sostenibilità del debito creati dal Covid-19, a causa di due restrizioni del programma. In primo luogo, si presume che le obbligazioni acquistate nell’ambito di questo programma si detengano solo temporaneamente – un’impressione rafforzata dalla recente sentenza della Corte costituzionale federale tedesca contro la Bce in relazione al Pspp (Public Sector Purchase Program) il programma di acquisto di titoli del settore pubblico. E, in secondo luogo, la chiave capitale deve restare un “principio guida” del Pepp nel tempo.

Per vedere come queste restrizioni indeboliscano l’efficacia del Pepp, consideriamo quello che succede quando un’obbligazione sovrana viene acquistata nell’ambito di questo programma. Su istruzione del Consiglio direttivo della Bce, le banche centrali nazionali effettuano l’80% degli acquisti e restituiscono rapidamente ai governi qualsiasi interesse ricevuto come trasferimento di profitto. Le obbligazioni diventano quindi effettivamente prive di costi, e quindi non sono preoccupanti in termini di sostenibilità del debito. Ma questo vale fino a quando la Bce si fa carico del debito.

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Se gli spread obbligazionari periferici diminuiranno in modo duraturo, il debito aggiuntivo di questi paesi derivante dalla crisi da Covid-19 – stimato in circa 500 miliardi di euro nel 2020-21 – dovrà effettivamente essere privo di costi. La Bce potrebbe garantire questo punto impegnandosi a detenere il debito per un tempo sufficientemente lungo, diciamo, 20 anni o più. Inoltre, il riferimento del Pepp alla chiave capitale dovrebbe essere abbandonato per eliminare qualsiasi ipotesi che la Bce venda prima le obbligazioni degli stati periferici se decidesse di ridurre il proprio portafoglio.

Il vantaggio economico di ridurre gli spread obbligazionari tra paesi core e periferia e quindi di tenere insieme l’eurozona ha più importanza delle tre potenziali preoccupazioni sul Pepp. Per cominciare, si teme che grandi acquisti di obbligazioni della Bce possano portare a un’inflazione elevata. Questa preoccupazione sembra esagerata in un momento in cui il rischio maggiore è la deflazione.

In secondo luogo, si teme una “dominanza fiscale”, ovvero la Bce potrebbe mostrare una certa timidezza nell’aumentare i tassi di interesse in futuro per evitare che le perdite di bilancio debbano essere poi ricapitalizzate dai governi, compromettendo così la sua indipendenza. Ma è un’esagerazione pensare che alcuni paesi della periferia dell’eurozona possano mettere in discussione l’indipendenza della BCE, sancita dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Infine, c'è la perenne paura dell’azzardo morale, ossia che i salvataggi incoraggino l’irresponsabilità fiscale. Ma anche questo è errato: gli attuali problemi dell’Italia riflettono il suo elevato livello di debito iniziale, che i partner dell’eurozona hanno accettato da tempo, e la sua vasta risposta fiscale all’attuale crisi, su cui tutti concordano.

Anche uno scostamento duraturo dalla chiave capitale è legalmente sostenibile. Il Pepp non è una misura monetaria, anzi punta a superare un ostacolo alla trasmissione della politica monetaria a tutti gli Stati membri dell’eurozona, vale a dire gli elevati spread indotti dal diverso effetto della pandemia sui livelli di debito pubblico. Se l’impatto del Covid-19 sui mercati obbligazionari dell’Eurozona è asimmetrico e duraturo, allora deve esserlo anche la risposta. Qualsiasi effetto monetario più ampio e non intenzionale del Pepp può essere sterilizzato, o annullato, attraverso tassi di interesse più elevati o vendite di titoli di paesi non periferici.

Certo, nulla di tutto ciò evita la necessità di una risposta fiscale europea comune. Sebbene il nascente recovery fund sia un importante passo avanti su questo fronte, resta da vedere se possa fornire uno stimolo sufficientemente ampio per i paesi più colpiti. Inoltre, questo fondo farebbe ben poco per ridurre il debito supplementare derivante dalla crisi e, in ogni caso, è destinato alla successiva fase di ripresa.

Per ora, il Pepp è l’unica arma a disposizione per garantire che l’eurozona sopravviva indenne alla crisi da Covid-19. Lungi dall’essere intimidita dalla recente decisione della Corte costituzionale tedesca, la Bce dovrebbe rafforzare il suo bazooka per evitare che la pandemia causi ancora più danni.

Traduzione di Simona Polverino

https://prosyn.org/DQ6LsnUit