Una nuova strategia macroeconomica

NEW YORK – Pur essendo macroeconomista sono in disaccordo con le due principali scuole di pensiero economico degli Stati Uniti: la neo keynesiana focalizzata sull’incoraggiamento della domanda aggregata, e gli economisti che sostengono l’offerta che sono invece focalizzati sulla riduzione delle tasse. Negli ultimi anni, entrambe le scuole hanno cercato di migliorare la debole performance delle economie a reddito elevato senza riuscirvi. E’ quindi giunta l’ora di pensare ad una nuova strategia basata su una crescita sostenibile e focalizzata sugli investimenti.

La sfida centrale della macroeconomia è quella di stanziare le risorse della società ai fini del loro miglior utilizzo. I lavoratori che decidono di lavorare dovrebbero poter trovare un lavoro, le fabbriche dovrebbero utilizzare il loro capitale in modo efficiente, mentre il risparmio del reddito dovrebbe essere investito per garantire il miglioramento del benessere futuro.

E’ proprio su questa terza sfida che sia i neo keynesiani che i sostentiori dell’offerta hanno gettato la spugna. La maggior parte dei paesi a reddito elevato, tra cui gli USA, gran parte dell’Europa ed il Giappone, non investono infatti in modo adeguato o in modo strategico ai fini di un miglior utilizzo futuro. Esistono due modi per investire: a livello nazionale e a livello internazionale. Tutti i paesi a livello mondiale sono ormai carenti in entrambe le tipologie di investimento.

Esistono diverse forme di investimento a livello nazionale tra cui gli investimenti aziendali nei macchinari e nel settore edile, gli investimenti familiari nelle case, e gli investimenti pubblici nelle persone (istruzione, competenze), nella conoscenza (ricerca e sviluppo) e nelle infrastrutture (trasporto, energia, acqua e resistenza al cambiamento climatico).

L’approccio neo keynesiano vuole incoraggiare gli investimenti di qualsiasi tipo a livello nazionale sulla base del principio che le spese sono spese. Gli economisti che sostengono questa scuola hanno pertanto provato ad aumentare gli investimenti immobiliari attraverso tassi di interesse bassissimi, l’acquisto di macchine tramite prestiti al consumo cartolarizzati ed i progetti infrastrutturali “cantierabili” tramite incentivi a breve termine. Fondamentalmente, quando la spesa destinata agli investimenti rimane ferma, i neo keynesiani suggeriscono di trasformare il risparmio in “eccesso” in consumo massiccio.

I sostenitori dell’offerta, per contro, tendono a promuovere gli investimenti privati (di certo non quelli pubblici!) attraverso una riduzione delle tasse e una nuova deregolamentazione. Ci hanno provato in diverse occasioni negli Stati Uniti e, in tempi recenti, con l’amministrazione di George W. Bush. Purtroppo, il risultato di questa deregolamentazione è stata una bolla immobiliare di breve durata e non un boom di investimenti nel settore produttivo privato.

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Anche se le politiche continuano ad alternarsi tra il sostegno all’offerta e l’entusiasmo neo keynesiano, l’unica realtà persistente negli ultimi anni continua ad essere il forte declino degli investimenti nella gran parte dei paesi a reddito elevato in termini di percentuale del reddito pubblico. Secondo i dati dell’FMI, la spesa lorda sugli investimenti in questi paesi è scesa dal 24,9% del PIL nel 1990 al 20% nel 2013.

Negli Stati Uniti, la spesa a favore degli investimenti è scesa dal 23,6% del PIL nel 1990 al 19,3% nel 2013 e si è poi ridotta in modo più significativo in termini netti (investimento lordo al netto del deprezzamento del capitale). Nell’Unione europea la riduzione registrata è stata dal 24% del PIL nel 1990 al 18,1% nel 2013.

In realtà, né i neo keynesiani né i sostenitori dell’offerta si sono finora focalizzati sui veri rimedi per arginare questa riduzione persistente della spesa degli investimenti. Le nostre società hanno urgentemente bisogno di più investimenti, in particolar modo per convertire l’attuale produzione inquinante, con un uso intensivo di energia e ad alto tenore di carbonio in economie sostenibili basate sull’uso efficiente delle risorse naturali e sul passaggio a fonti energetiche a basso tenore di carbonio. Questi investimenti richiedono dei passi complementari sia da parte del settore privato che del settore pubblico.

Gli investimenti necessari comprendono l’implementazione su larga scala dell’energia solare ed eolica, una più ampia adozione del trasporto elettrico sia pubblico (autobus e treni) che privato (macchine), edifici ad alta efficienza energetica e reti elettriche per il trasporto dell’energia rinnovabile su larghe distanze (ad esempio dal Mare del Nord e dal Nord Africa all’Europa continentale e dal deserto del Mojave della California ai centri abitati degli Stati Uniti).

Ma proprio ora che le nostre società dovrebbero incentivare questi investimenti, sembra che i settori pubblici degli Stati Uniti e dell’Europa stiano facendo un vero e proprio “sciopero degli investimenti”. I governi stanno riducendo gli investimenti pubblici in nome del pareggio di bilancio, mentre gli investitori privati non possono investire in modo significativo e sicuro nell’energia alternativa, quando le reti elettriche gestite dallo stato, le norme sulla responsabilità, le formule per i prezzi e le politiche energetiche nazionali non sono definite in modo chiaro e sono anzi oggetto di forti discussioni.

Negli Stati Uniti, gli investimenti statali sono stati drasticamente ridotti. Né il governo federale né gli stati hanno il mandato politico, le strategie di finanziamento o dei piani a lungo termine per catalizzare gli investimenti nella prossima generazione di tecnologie pulite e intelligenti.

Sembra quindi che sia i neo keynesiani che i sostenitori dell’offerta abbiano interpretato male la paralisi degli investimenti. I neo keynesiani vedono gli investimenti, sia pubblici che privati, semplicemente come un altro tipo di domanda aggregata e non prendono in considerazione le decisioni della politica pubblica sui sistemi e sulle infrastrutture energetiche (così come le politiche su ricerca e sviluppo per promuovere nuove tecnologie) che sono invece necessarie per liberare gli investimenti pubblici e privati intelligenti e sostenibili in termini ambientali. Ciò che finiscono per fare è quindi promuovere espedienti (come ad esempio tassi d’interesse zero e incentivi), invece di incoraggiare l’adozione di politiche nazionali ben definite e necessarie per una ripresa solida degli investimenti.

I sostenitori della domanda, da parte loro, sembrano del tutto indifferenti alla dipendenza degli investimenti privati dagli investimenti pubblici complementari e da una politica ed un quadro normativo ben definiti. Ciò che auspicano è una riduzione della spesa pubblica pensando, ingenuamente, che il settore privato possa magicamente colmare le lacune. Ma riducendo gli investimenti pubblici non fanno altro che ostacolare gli investimenti privati.

I produttori privati di energia elettrica, ad esempio, hanno deciso di non investire nella produzione di energia rinnovabile su larga scala finché i governi non definiranno una politica climatica ed energetica a lungo termine o dei programmi per la costruzione delle linee di trasmissione a lunga distanza per il trasporto delle fonti energetiche a basso tenore di carbonio verso i centri abitati. Questi elementi disordinati delle politiche governative non sono in realtà mai figurate nelle considerazioni degli economisti del mercato libero.

Esiste poi anche la possibilità di utilizzare il risparmio nazionale per incoraggiare gli investimenti stranieri. Gli Stati Uniti potrebbero, ad esempio, prestare i soldi alle economie africane a basso reddito affinché possano acquistare nuovi impianti energetici dalle aziende statunitensi. Questa politica garantirebbe un uso efficiente del risparmio privato statunitense nel contesto della lotta alla povertà globale, rafforzando allo stesso tempo la base industriale degli USA.

Ciò nonostante, anche in questo caso né i neo keynesiani né i sostenitori dell’offerta hanno fatto molti sforzi per migliorare le istituzioni degli aiuti allo sviluppo. Invece di consigliare al Giappone e alla Cina di aumentare i tassi di consumo, i macroeconomisti farebbero meglio ad incoraggiare queste economie ad utilizzare i loro risparmi per finanziare non solo gli investimenti nazionali, ma anche quelli stranieri.

Queste considerazioni sono ragionevolmente chiare a chiunque sia focalizzato sul bisogno urgente di armonizzare la crescita economica con la sostenibilità ambientale. La sfida più importante della nostra generazione è quella di trasformare i sistemi energetici e le infrastrutture inquinate ad alto tenore di carbonio a livello mondiale in sistemi puliti, intelligenti ed efficienti adatti al ventunesimo secolo. Investire in un’economia sostenibile migliorerebbe in modo consistente il nostro benessere e garantirebbe un uso efficiente dei risparmi in “eccesso” a favore degli obiettivi giusti.

Purtroppo questo non può avvenire in modo automatico. Abbiamo bisogno di strategie a lungo termine sugli investimenti statali, di una pianificazione ambientale, di tabelle di marcia tecnologiche, di partnership tra pubblico e privato per nuove tecnologie sostenibili e di una cooperazione globale rafforzata. Questi strumenti possono creare la nuova macroeconomia dalla quale dipendono già ora la nostra salute e la nostra prosperità.

Traduzione di Marzia Pecorari

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