Tony Blair Stefan Rousseau/Stringer

Riesaminare la guerra in Iraq

NEW YORK – Sette anni, 12 volumi di prove, verdetti e conclusioni e una sintesi conclusiva successiva, il Rapporto sull’inchiesta in Iraq, più comunemente conosciuto come il Rapporto Chilcot (dal nome del Presidente della commissione di inchiesta, Sir John Chilcot), può ora essere letto da tutti. Poche persone lo leggeranno per intero; la sintesi da sola (ben oltre le 100 pagine) è così lunga che necessita essa stessa di una sintesi.

Ma sarebbe una vergogna se il Rapporto non venisse letto tutto e, cosa più importante, studiato, dal momento che contiene alcuni approfondimenti utili in merito all’operato dei diplomatici, la politica adottata e il modo in cui sono state prese le decisioni. Il Rapporto ci ricorda inoltre la centralità della decisione di invadere l’Iraq ed è utile per capire il Medio Oriente di oggi.

Un aspetto centrale del Rapporto è che la guerra in Iraq non doveva accadere e di sicuro non quando è accaduta. La decisione di andare in guerra è stata in parte basata su una scelta di intelligence sbagliata. L’Iraq costituiva al massimo una minaccia in fase di costituzione, non una minaccia imminente. Le alternative all’uso della forza militare  – soprattutto attraverso il rafforzamento della Turchia e della Giordania e il supporto alle sanzioni delle Nazioni Unite volte a fare pressioni su Saddam Hussein – sono state a malapena prese in considerazione. La diplomazia ha fatto tutto in maniera sbrigativa.

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